Un'intervista a... DAVID DE BIASIO

Con David De Biasio ci si trova in uno di quei rarissimi casi in cui è possibile descrivere un artista potendo utilizzare anche un solo sostantivo: PERFEZIONE.
David De Biasio è la testimonianza di come si può essere contemporanei servendosi dei mezzi e linguaggi legati alla tradizione, perché l’arte contemporanea  non deve necessariamente essere “d’effetto” per essere considerata tale,  ma può tornare a stupire semplicemente sublimando il concetto di estetica, l’arte come bellezza e non come pura spettacolarizzazione.  
Ho conosciuto questo artista attraverso un portale web che espone alcuni suoi quadri che, vedendoli  per la prima volta, ho scambiato per fotografie, e con una convinzione tale,  che quando ho letto nella descrizione “olio su tela” sono rimasta letteralmente a bocca aperta.

Innanzitutto complimenti, sinceri.
Quali sono i princìpi ispiratori della tua poetica?
Grazie per i complimenti sinceri, fa sempre piacere riceverne.
Ho sempre guardato al reale ed alla realtà con molta curiosità, la passione per la forma e per il visibile, come anche per la natura, sono forse la base di partenza per la mia ricerca pittorica. In questo periodo più che di princìpi parlerei di passioni, per l’equilibrio formale che cerco in maniera meticolosa, per l’uso del colore stesso.
Insomma sono alla ricerca  di un’ideale di perfezione molto difficile da realizzare, ma ci provo di continuo.
Quale è la tua concezione di “equilibrio formale”?
Nella composizione di una natura morta cerco l’armonia, l’equilibrio cromatico e volumetrico tra tutti gli elementi presenti; sposto anche solo di qualche millimetro ogni singolo oggetto fino a trovare l’esatta posizione che mi fa dire: ecco adesso si trova in perfetta armonia con tutte le altre forme presenti nella composizione.
Quanto è importante per te la tradizione?
Importantissima, chi fa questo lavoro non può non tenerne conto. Da studente eseguivo copie dei grandi maestri, ho sempre studiato quello che il passato aveva da offrire, ma diciamo che non ne sono mai rimasto schiavo. Fissarsi su dei modelli non va bene, si dovrebbe interiorizzare ciò che la tradizione propone, studiare tanto, ma poi creare un linguaggio che si poggi su di essa ma senza esserne dipendenti.
Come ti è venuta l’idea di usare come soggetto delle bottiglie?
Le avevo in casa e non sapevo che farne … no, scherzo!
Ti dico che gli oggetti a noi familiari, anche di uso molto comune come la bottiglia possono fornire ottimi spunti per realizzare delle composizioni interessanti.
Le bottiglie offrono un repertorio di misure e forme abbastanza vario con cui e’ possibile lavorare, cercando di non essere banale o ripetitivo ovviamente, e l’idea di usarle mi e’ venuta mentre contemplavo un serie di bottiglie da collezione a casa di mio padre.
Le vedevo lì in fila, posizionate con cura ed ordine ed ho pensato allora di reperirne alcune, eliminare il marchio ed ogni altro riferimento commerciale, per iniziare il progetto NO LOGO. Molte di queste bottiglie prive del marchio erano ancora riconoscibili, ti fa capire come il marchio condizioni la psiche, come la pubblicità lavori sulle nostre coscienze.
Le tue nature morte sono davvero magnifiche, sono l’espressione della modernità declinata alla tradizione e viceversa.  Due facce della stessa medaglia?
Ti dicevo, la tradizione e’ fondamentale, la base da cui partire. Ma io sono figlio del tempo in cui mi e’ stato concesso vivere e non credo che ci si possa sottrarre dagli stimoli che vengono dall’ambiente e dal periodo storico che ci riguarda. A New York giravo tanto, ero un grande fruitore di mostre contemporanee e frequentavo settimanalmente vernissage di ogni tipo. Le nature morte sono frutto di tutta la mia ricerca artistica, quella italiana e quella americana.
Hai voglia di raccontarmi un po’ della tua esperienza negli Stati Uniti? Mi piacerebbe sapere cosa ti ha lasciato e se la rifaresti volentieri.
New York è una città eccezionale che richiede molta energia. I primi mesi sono stati molto eccitanti, ero attratto da tutti gli stimoli a cui ero sottoposto. L'arte è vissuta in maniera molto libera, si ha modo di avere un confronto diretto e costante con tanti artisti, non solo pittori ma anche musicisti, attori, ecc. Ho conosciuto personalità molto interessanti e di questo sono felicissimo. New York mi ha dato tanto e consiglio vivamente a chi può di fare un'esperienza di vita in questa grande metropoli. Certo che rifarei la stessa esperienza, il mio obiettivo futuro è di viverci almeno un po’ di mesi l'anno e comunque mantengo vivi i contatti che ho creato, parte del mio lavoro è lì.
Ci sono importanti pittori della storia dell’arte a cui fai riferimento? Te lo chiedo perché osservando i tuoi lavori magistralmente giocati sulla luce, mi torna in mente Caravaggio.
Certamente Leonardo, Caravaggio, i Preraffaelliti, Moreau, Klimt e molti altri.  Sono stati dei sicuri punti di riferimento nel periodo della mia formazione Ho guardato ai loro lavori con lo sguardo dell’apprendista, studiandone la tecnica, la luce ma anche la composizione. Quando vado nei musei mi metto in uno stato di ascolto ed osservo da vicino, ho ancora tanto da imparare e non smetterò mai.


David De Biasio nasce a Jesolo l'8 agosto 1973.
All'età' di 19 anni, compiuti gli studi magistrali, si trasferisce a Roma dove frequenta l'Accademia di Belle Arti. Nel '98 si diploma presentando una tesi sull'opera di Gustave Moreau ( che si trova ora nella casa-museo di Parigi) .
Nel 2003 si trasferisce a New York dove inizia a lavorare come assistente per Mark Kostabi presso il "Kostabi World", dedicandosi al tempo stesso alla realizzazione delle opere proprie.
Il  2006 e’ l’anno della sua prima personale a New York
Nel 2007 partecipa ai corsi della rinomata scuola d’arte newyorkese “Art Student League”.
Nella seconda meta’ del 2008 ritorna in Italia ed apprezzato dal noto critico d’arte Alberto Agazzani partecipa all’importante rassegna “Contemplazioni. Bellezza e tradizione del nuovo nella pittura italiana contemporanea”.
Il 2011 è l’anno della sua prima personale in Italia e nello stesso anno viene chiamato a partecipare al Padiglione Veneto della 54esima Biennale di Venezia.
Nel 2012 partecipa e vince il IV Premio Fabbri - sezione pittura.
Espone in diverse gallerie negli Stati Uniti, in Inghilterra ed in Italia.



Intervista per ART OPEN SPACE
a cura di Cristina Polenta



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