Un'intervista a ... Luca Cervini
I suoi lavori sono magnetici, ti ritrovi incollato ad osservare immagini che ti trascinano in una dimensione sospesa intrisa di surreale malinconia, in uno spazio temporale indefinito e indefinibile, una bolla d'acqua o piuttosto una sorta di terra di mezzo del nostro io più recondito o semplicemente del nostro essere umani, fragili, precari, di passaggio.
Luca Cervini ci parla di questo, con le sue fotografie ci rende partecipi della sua interpretazione e la sua indagine sul senso e non senso della vita.
Nelle tue immagini rappresenti corpi deformati, parzialmente liquefatti, mutilati e poi ricomposti con parti artificiali come surreali cyborg. Mi incuriosisce sapere che rapporto hai con il tuo di corpo.
Il corpo è una macchina preziosa che permette al nostro pensiero di avere un luogo dove esistere e al contempo di muoversi nel mondo, oltre, naturalmente, a tenerci in vita. Questo è quello che penso del mio corpo. Come ci puo’ essere una discrepanza tra pensiero e corpo (per esempio nell’insoddisfazione, nel non accettarsi per come si è o nel dare troppo peso a come si appare agli occhi degli altri), c’è una discrepanza anche tra l’immagine mentale, l’idea (nel mio caso l’idea che diventa un’opera), e la sua effettiva trasformazione in prodotto concreto, materiale e quindi imperfetto. Trovo questa analogia interessante. Le parti artificiali che fotografo sono l’esternarsi dell’animo, sono il pensiero che diventa tangibile, comunica con noi e diviene fragile, insicuro, sostituisce il guscio corporeo e lo deforma.
Le tue foto mi hanno colpito per questa atmosfera onirica e “noir”. Cosa ti ha proiettato verso questa particolare commistione?
Non credo che in generale il mio lavoro sia associabile al termine “noir”, mentre penso che l’atmosfera onirica che emanano le mie fotografie sia una conseguenza dell’esternarsi di situazioni che nella realtà non è possibile vedere con i nostri occhi. Per questo ci viene naturale pensare al sogno. Queste metafore sono utili per cercare di esprimere per immagini un concetto, un semplice pensiero che merita attenzione o a uno stato d’animo particolarmente affascinante.
Dove trovi gli input per i tuoi lavori?
Nella musica, nei già citati pensieri, nelle paure, nella semplicità e nel vuoto delle cose quotidiane. Probabilmente anche in tutti quei posti misteriosi dove quelle persone, che identifichiamo come artisti, riescono a esplorare e scavare per carpire intuizioni che possono solo essere in qualche modo rappresentate, e mai spiegate a parole.
Anche l’incertezza che pervade tutto e tutti in questo particolare momento storico, influenza la tua sensibilità di artista?
Non mi sento particolarmente legato e influenzato dal preciso periodo storico che stiamo vivendo, quello che faccio è parte di un mio percorso personale nel quale non sono altro che un unico individuo, i miei lavori sono molto intimi e poco vicini a ciò che la gente si aspetta di vedere da un certo tipo di artista o, appunto, da ciò che accade nella realtà italiana in un dato momento. Le mie opere sono principalmente il riflesso involontario della mia esistenza.
Riavvicinandomi alla tua domanda, posso affermare con sicurezza che l’incertezza è effettivamente una sensazione terribile, persino la morte è certezza e incertezza nello stesso istante, siamo certi di essere mortali ma non sappiamo come e quando la nostra vita si concluderà. Siamo pieni di incertezze economiche, incertezze lavorative, incertezze di fede. E’ normale sentirsi sensibili di fronte all’incertezza.
Le tue immagini sono magnifiche ma lasciano in bocca un sapore amaro, perché sottolineano senza pietà la caducità a cui siamo destinati. Quale è la tua visione della vita?
Anche la vita è magnifica ma spesso lascia in bocca un sapore amaro. Siamo immersi in una costante entropia, il corpo invecchia, si ammala, ci accompagna alla morte. E’ un concetto semplice quanto spiazzante che racconta una realtà inevitabile, la nostra realtà, fatta di probabilità e caducità. Fattori negativi che rendono ancora più preziosi e delicati i momenti meravigliosi che la stessa vita ci riserva, ma non ci spiega. Parlando della vita e della morte genero quindi un’inevitabile contrapposizione di sensazioni piacevoli e inquietanti che coinvolgono chi osserva l’opera. E’ un invito ad andare oltre la nostra giornata ordinaria, dietro i corpi in coda a una cassa o in fila a un semaforo. Guardare oltre ciò che leggiamo sul giornale, perdersi dietro la facciata di di un problema lavorativo, semplice o complesso, sempre a seconda del lato dal quale lo si guarda, e cercare almeno per un momento di afferrare ciò che manda avanti tutto il gioco della vita. Non mi sento così fortunato da avere una chiara visione dell’esistenza, ma è sicuramente nella ricerca del suo senso che ritrovo costantemente il fulcro del mio attuale lavoro artistico.
Se ho capito bene la tua analisi artistica nasce da un bisogno di verità ed è attraverso l’opera che riversi istintivamente e materializzi i tuoi interrogativi più intimi, è corretto?
Sì, è corretto. L’opera mi permette di comprendere un pensiero delicato, quasi invisibile, che altrimenti non avrei modo di fissare nel tempo. L’opera è per la mia analisi artistica una sorta di blocco per gli appunti per materializzare un’idea e vederla tangibile davanti a me, un puzzle enorme e interminabile dentro il quale incasellare alcune fotografie per cercare, con il passare degli anni, di percepirne magari il quadro generale.
http://www.facebook.com/lucacervini
http://www.lucacervini.com/
Intervista per ART OPEN SPACE
a cura di Cristina Polenta
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Luca Cervini ci parla di questo, con le sue fotografie ci rende partecipi della sua interpretazione e la sua indagine sul senso e non senso della vita.
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Il corpo è una macchina preziosa che permette al nostro pensiero di avere un luogo dove esistere e al contempo di muoversi nel mondo, oltre, naturalmente, a tenerci in vita. Questo è quello che penso del mio corpo. Come ci puo’ essere una discrepanza tra pensiero e corpo (per esempio nell’insoddisfazione, nel non accettarsi per come si è o nel dare troppo peso a come si appare agli occhi degli altri), c’è una discrepanza anche tra l’immagine mentale, l’idea (nel mio caso l’idea che diventa un’opera), e la sua effettiva trasformazione in prodotto concreto, materiale e quindi imperfetto. Trovo questa analogia interessante. Le parti artificiali che fotografo sono l’esternarsi dell’animo, sono il pensiero che diventa tangibile, comunica con noi e diviene fragile, insicuro, sostituisce il guscio corporeo e lo deforma.
Le tue foto mi hanno colpito per questa atmosfera onirica e “noir”. Cosa ti ha proiettato verso questa particolare commistione?
Non credo che in generale il mio lavoro sia associabile al termine “noir”, mentre penso che l’atmosfera onirica che emanano le mie fotografie sia una conseguenza dell’esternarsi di situazioni che nella realtà non è possibile vedere con i nostri occhi. Per questo ci viene naturale pensare al sogno. Queste metafore sono utili per cercare di esprimere per immagini un concetto, un semplice pensiero che merita attenzione o a uno stato d’animo particolarmente affascinante.
Dove trovi gli input per i tuoi lavori?

Anche l’incertezza che pervade tutto e tutti in questo particolare momento storico, influenza la tua sensibilità di artista?
Non mi sento particolarmente legato e influenzato dal preciso periodo storico che stiamo vivendo, quello che faccio è parte di un mio percorso personale nel quale non sono altro che un unico individuo, i miei lavori sono molto intimi e poco vicini a ciò che la gente si aspetta di vedere da un certo tipo di artista o, appunto, da ciò che accade nella realtà italiana in un dato momento. Le mie opere sono principalmente il riflesso involontario della mia esistenza.
Riavvicinandomi alla tua domanda, posso affermare con sicurezza che l’incertezza è effettivamente una sensazione terribile, persino la morte è certezza e incertezza nello stesso istante, siamo certi di essere mortali ma non sappiamo come e quando la nostra vita si concluderà. Siamo pieni di incertezze economiche, incertezze lavorative, incertezze di fede. E’ normale sentirsi sensibili di fronte all’incertezza.
Le tue immagini sono magnifiche ma lasciano in bocca un sapore amaro, perché sottolineano senza pietà la caducità a cui siamo destinati. Quale è la tua visione della vita?

Se ho capito bene la tua analisi artistica nasce da un bisogno di verità ed è attraverso l’opera che riversi istintivamente e materializzi i tuoi interrogativi più intimi, è corretto?
Sì, è corretto. L’opera mi permette di comprendere un pensiero delicato, quasi invisibile, che altrimenti non avrei modo di fissare nel tempo. L’opera è per la mia analisi artistica una sorta di blocco per gli appunti per materializzare un’idea e vederla tangibile davanti a me, un puzzle enorme e interminabile dentro il quale incasellare alcune fotografie per cercare, con il passare degli anni, di percepirne magari il quadro generale.
Luca
Cervini (Merate, 10 maggio 1984) è un artista visivo che opera principalmente
con la fotografia digitale. Ha frequentato studi di grafica pubblicitaria,
interessandosi parallelamente all'arte nelle sue varie declinazioni, quali la
fotografia, la video art e il fumetto. Nel 2011 la sua prima personale presso
la galleria Officine dell'Immagine, a Milano, dal titolo Equilibri e Fratture, con fotografie inedite e critica a catalogo. Vive e lavora tra Paderno d'Adda e
Merate (LC). I suoi lavori sono pubblicati su numerosi libri e riviste italiane
e internazionali.
http://www.facebook.com/lucacervini
http://www.lucacervini.com/
Intervista per ART OPEN SPACE
a cura di Cristina Polenta
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