Un'intervista a ... PIERO RACCHI
Piero Racchi crea le sue personalissime opere d’arte assemblando oggetti e materiali diversi, trasformandoli e reinventandoli; questa sua peculiarità nasce dal grande amore per la natura ma probabilmente ha anche radici lontane, forse da far risalire alla sua infanzia quando facendo di necessità virtù, si ingegnava a costruirsi giocattoli con ciò che trovava, con quel poco che il caso o il destino gli metteva a disposizione.

La passione per l’arte è sempre stata in me, ma ho iniziato a praticarla nel 1981, a trentatré anni. Prima di questa data lavoravo in fabbrica e nel frattempo suonavo la batteria in un gruppo. Siccome tutte le belle cose prima o poi finiscono, per vari motivi ho smesso di suonare, e per colmare questa bellissima passione non potevo fare altro che sostituirla con un’altra altrettanto bella che tenevo gelosamente nascosta nel cuore: l’Arte.
Nelle tue opere è ricorrente l’utilizzo di materiali diversi, da cosa è dettata questa scelta?
Come tutti i pittori s’iniziano a dipingere le cose più semplici. Avendo frequentato la scuola d’arte, la cosa più semplice per me era la grafica. Dopo aver fatto una personale di grafica, in cui immortalavo tutti i più begli scorci della mia città, sono passato a dipingere quadri surreali a olio. Di queste mie opere ero soddisfatto e insoddisfatto contemporaneamente perché, guardandole, mi dicevo: se non fosse perché c’è la mia firma, questi quadri potrebbe averli fatti chiunque, non mi riconosco! Infatti, dopo due o tre anni di questo genere pittorico, mi sono messo con impegno a sperimentare, inventare. Al contrario di molti artisti guardavo tutto quello che facevano gli altri pittori per non imparare da loro, per non assomigliargli, per cercare di avere una mia personalità, per riuscire a inserire nei miei lavori il mio D.N.A. Cercando di fare tuttavia delle opere razionali, comprensibili e piacevoli. Nell’arte è stato fatto di tutto, e riuscire a creare qualcosa di diverso è veramente impossibile. Qualsiasi cosa si faccia c’è se sempre qualcuno chi ti dice che hai copiato, o ti sei ispirato a un altro artista (per questo ho studiato gli altri pittori, proprio per non cadere in questa trappola). Devo confessare (sicuro di non peccare di presunzione) che, ora, quando guardo i miei quadri, non ci vedo nessun altro artista, e non ho ancora trovato qualcuno che mi abbia fatto un’osservazione opposta. Per arrivare a questo risultato mi sono dovuto appoggiare a materiali diversi: plastica, polistirolo, ingranaggi, tappi, spago, cortecce, radici, pigne, pistacchi, conchiglie, ecc.

Di primo acchito sono felice, perché vuol dire che qualcuno apprezza le mie opere. Riflettendoci però, considerando che non sono un pittore famoso, se qualcuno mi imita in qualche parte del pianeta in cui la mia arte è maggiormente apprezzata, c’è il rischio che sia lui a raccogliere i frutti della mia semina.
A proposito di DNA … volendo analizzare quello dell’artista Piero Racchi, cosa racconterebbero i suoi cromosomi?
Racconterebbero di una vita plasmata da genitori semplici e genuini che hanno attraversato una miriade di traversie. La mia onestà, il rispetto per gli altri e per la natura la devo a loro. La cosa che deve aver influito maggiormente sul mio D.N.A. è stata sicuramente la povertà. La mia fantasia si è materializzata per il merito del nulla. Quando non si ha nulla, nemmeno un semplice giocattolo che stimola la gioia di un bambino, sei costretto a far funzionare la fantasia. Con essa ho creato tutto ciò che un bambino potesse desiderare: con il fango e pietre costruivo case in miniatura, con il legno giocattoli, spade, fucili, con le asticelle metalliche degli ombrelli archi e frecce, che naturalmente esibivo ed usavo con i miei coetanei.
Il materiale ricopre anche un ruolo metaforico nel tuo linguaggio artistico?
Sì, perché i miei lavori hanno tutti lo stesso titolo “natura e artificio” e lo stesso significato: la natura che tenta disperatamente di affrancarsi dall’asservimento umano. Per tale ragione, i materiali industriali li uso per rappresentare i manufatti umani, e quelli naturali per rappresentare la natura.
Sei un artista completo, oltre la passione per l’arte coltivi quella della scrittura. E’ uscito il tuo ultimo romanzo “Cannone”, cosa narra?

Il romanzo (inventato di sana pianta) narra la storia di un diciottenne grande e grosso, e un po’ ritardato, vissuto nel 1948, nel paese in cui sono nato. Dopo tante avventure giovanili (belle, brutte, burlesche) egli viene sedotto dalla moglie del suo padrino. Di lì in poi iniziano tutte le sue vere e proprie disgrazie che io non ti posso raccontare per non rovinare la lettura di qualche potenziale lettore.
Ti riporto una piccola parte di recensione fatta dal letterato e critico Carlo Prosperi:
Ma se, in effetti, l’avvio del romanzo si allinea ai paradigmi del comico strapaesano (con il piccolo borgo che funziona da straniante cassa di risonanza delle gesta non proprio eroiche dei nostri eroi), il prosieguo della storia svolta, in maniera un po’ naïve e talora grottesca, verso il dramma. Il personaggio comico, in altre parole, si misura con l’ambigua potenza dell’eros e diventa, a suo malgrado, un personaggio tragico. Sopravvivono, è vero, rivalità di campanile e tratti - diciamo - folcloristici, come le feste di paese, il ballo a palchetto, le danze sull’aia, il suono della fisarmonica, le solenni sbornie, il bucato al fiume - ma con l’irrompere della passione amorosa un nuovo personaggio, una sorta di convitato di pietra, il destino, prende imprevedibilmente in mano i fili della storia e imprime tutt’altro corso alle vicende. Saltano così le convenzioni sociali, le convinzioni morali si allentano e la furia dei sensi si scatena. Ma l’amore non è solo sensualità, perché, dopo le prime titubanze, Cannone, che ama riamato Teresa, la giovane e briosa moglie del suo padrino, si sente pervadere da un sentimento così intenso da trasformarsi intimamente in un altro uomo. “Un’ondata di vita nuova lo aveva travolto e fatto rinascere. Una vita tanto nuova da fargli cancellare dalla memoria i due amici” e da renderlo insolitamente docile e ligio ai voleri e alle raccomandazioni dei familiari. Si tratta di una vera e propria metanoia, con la quale il romanzo cambia ritmo e tono, scivolando via via inesorabilmente verso esiti tragici di amore e morte.
Piero Racchi è nato a Melazzo (AL) il 27 Giugno 1948 e vive ad Acqui Terme (AL). L’attività pittorica l’ha iniziata a trentatré anni, la grafica è stata la sua prima passione in seguito è passato alla pittura ad olio dipingendo quadri surreali. Dopo varie tecniche e sperimentazioni, ha creato una personale serie di quadri polimaterici intitolati “vedute spaziali” e, realizza inoltre quadri e sculture utilizzando materiali diversi.
Intervista per ART OPEN SPACE
a cura di Cristina Polenta
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