Un'intervista a ... ANNA LORENZINI
“Le tue membra, la mia membrana" è il primo dipinto che ho visto di Anna Lorenzini, un autoritratto in cui compare in primo piano con gli occhi grandi e spalancati e dalla membrana tanto liquida che li fa sembrare due pozzi profondi e senza il fondo, di quelli con le acque così scure che pare abbiamo inghiottito tutti i raggi del sole.
Raccontami di Anna, del suo percorso di vita e artistico..
Raccontami di Anna, del suo percorso di vita e artistico..
Fin da piccola capii che il mio sogno sarebbe stato fare della pittura la strada da seguire; utilizzavo le scatole di pastelli di mio fratello maggiore, da lui completamente ignorate, e mi immergevo dentro ai miei fogli.
Il mio percorso formativo ha avuto uno svolgimento piuttosto lineare: dopo essermi diplomata al Liceo artistico G. Ferrari di Morbegno (SO) nei quattro anni di percorso classico, ho ottenuto l’attestato del quinto anno integrativo (facoltativo), da me svolto perché gli studenti dell’anno ’88 dovevano aver quel tipo di titolo per poter accedere all’università.
Nel settembre 2007 l’esame per entrare a Brera nel corso di pittura. Presa. Dopo i primi tre anni ero convinta di non voler continuare, ma con l’insistenza del mio relatore di tesi, mi convinco nell’iscrivermi al biennio e a laurearmi nella specialistica dello stesso corso nell’aprile del 2013.
Durante e dopo la laurea ho avuto l’occasione di esporre in mostre personali e collettive, in Italia e all’estero, in particolar modo lavoro in collaborazione con Artitude Aptitude for Art per il mercato russo da giugno 2012 e per quello cinese da ottobre 2013.
Dalle esposizioni in Russia mi sono arrivati molti appagamenti, è il Paese straniero che, tra i tre in cui ho avuto occasione di esporre, mi ha dato più soddisfazioni, le realizzazioni erano molto gradite e gli “spettatori” molto interessati.
Per quanto riguarda la Cina, invece, ho avuto una sensazione di maggior distacco, essendo piuttosto connessi con le loro tradizioni, che prevedono una ritrattistica dalle caratteristiche più orientali (o per lo meno così mi è stato spiegato).
Facciamo un passo indietro. Hai detto che ai tempi dell’università, pensavi di fermarti al primo triennio e di non proseguire con il conseguimento della specialistica. Perché? Non eri soddisfatta?
In realtà non particolarmente.
Non avevo ancora imparato ad apprezzare Milano, che ai tempi proprio non mi piaceva, e già questo mi faceva fare un passo indietro dall’idea di intraprendere la specialistica. Ero oltretutto convinta che l’Accademia non mi stava dando ciò che mi ero aspettata, alunni poco seguiti, non accompagnati verso il mondo dell’arte al di fuori dell’università, ovvero gallerie, curatori etc.
Poi, come dicevo, attraverso le insistenze del mio relatore di tesi, ho iniziato a prendere in considerazione l’idea di ricredermi.
Infatti mi sono iscritta al biennio grazie anche alla sua determinazione nel non farmi smettere e, con il senno di poi, devo dire che è stata la scelta migliore, gli ultimi due anni mi hanno dato l’opportunità di ampliare me stessa nella mia creatività e la possibilità di pensare all’arte come un lavoro.
Come mai hai scelto di esprimerti attraverso la ritrattistica?
Semplicemente perché è ciò che meglio esprime le sensazioni che più mi appartengono, è il modo più diretto per materializzare l’introspezione mia personale e delle figure che rivendicano la propria presenza nelle mie opere.
I ritratti si analizzano e noi analizziamo loro proprio come lo facciamo con la nostra persona.
Quando parli delle “figure che rivendicano la propria presenza nelle mie opere”, a chi ti riferisci?
Iniziai ad interessarmi di vecchie foto in bianco e nero quando chiesi a mia nonna di passarmi qualche fotografia che ritraesse mio papà nei primi anni della sua vita.
Feci un lavoro dedicato interamente a questo tema per un’esposizione che stavamo progettando con il corso di Arte Sacra.
Così cominciai ad andare alla ricerca di foto antiche nei cassetti dei miei parenti, non solo di mio papà, ma anzi, trovai delle foto eccezionali molto più passate, anche di fine ‘800.
Riuscii a ricostruire parzialmente un albero genealogico di entrambi i miei genitori.
Si tratta quindi persone che, per la maggior parte, ormai non ci sono più, e che quindi ritornano ad essere del tutto presenti alla memoria nei quadri in cui sono raffigurati.
Il mio percorso formativo ha avuto uno svolgimento piuttosto lineare: dopo essermi diplomata al Liceo artistico G. Ferrari di Morbegno (SO) nei quattro anni di percorso classico, ho ottenuto l’attestato del quinto anno integrativo (facoltativo), da me svolto perché gli studenti dell’anno ’88 dovevano aver quel tipo di titolo per poter accedere all’università.
Nel settembre 2007 l’esame per entrare a Brera nel corso di pittura. Presa. Dopo i primi tre anni ero convinta di non voler continuare, ma con l’insistenza del mio relatore di tesi, mi convinco nell’iscrivermi al biennio e a laurearmi nella specialistica dello stesso corso nell’aprile del 2013.
Durante e dopo la laurea ho avuto l’occasione di esporre in mostre personali e collettive, in Italia e all’estero, in particolar modo lavoro in collaborazione con Artitude Aptitude for Art per il mercato russo da giugno 2012 e per quello cinese da ottobre 2013.
Come ti sei trovata all’estero? c’è curiosità per gli artisti italiani? Qual è, a tuo giudizio, la visione che gli stranieri hanno di noi?
Per quello che riguarda la mia esperienza dipende dal Paese; premettendo che di persona ho partecipato fisicamente soltanto alle due mostre in Svizzera, luogo in cui vedono gli italiani con molta curiosità perché fanno sempre un certo riferimento con il passato, loro stessi per primi, in quanto ancora legati ai loro artisti principali, come Segantini e e Giacometti.Dalle esposizioni in Russia mi sono arrivati molti appagamenti, è il Paese straniero che, tra i tre in cui ho avuto occasione di esporre, mi ha dato più soddisfazioni, le realizzazioni erano molto gradite e gli “spettatori” molto interessati.
Per quanto riguarda la Cina, invece, ho avuto una sensazione di maggior distacco, essendo piuttosto connessi con le loro tradizioni, che prevedono una ritrattistica dalle caratteristiche più orientali (o per lo meno così mi è stato spiegato).
Facciamo un passo indietro. Hai detto che ai tempi dell’università, pensavi di fermarti al primo triennio e di non proseguire con il conseguimento della specialistica. Perché? Non eri soddisfatta?
In realtà non particolarmente.

Poi, come dicevo, attraverso le insistenze del mio relatore di tesi, ho iniziato a prendere in considerazione l’idea di ricredermi.
Infatti mi sono iscritta al biennio grazie anche alla sua determinazione nel non farmi smettere e, con il senno di poi, devo dire che è stata la scelta migliore, gli ultimi due anni mi hanno dato l’opportunità di ampliare me stessa nella mia creatività e la possibilità di pensare all’arte come un lavoro.
Come mai hai scelto di esprimerti attraverso la ritrattistica?
Semplicemente perché è ciò che meglio esprime le sensazioni che più mi appartengono, è il modo più diretto per materializzare l’introspezione mia personale e delle figure che rivendicano la propria presenza nelle mie opere.
I ritratti si analizzano e noi analizziamo loro proprio come lo facciamo con la nostra persona.
Quando parli delle “figure che rivendicano la propria presenza nelle mie opere”, a chi ti riferisci?
Iniziai ad interessarmi di vecchie foto in bianco e nero quando chiesi a mia nonna di passarmi qualche fotografia che ritraesse mio papà nei primi anni della sua vita.
Feci un lavoro dedicato interamente a questo tema per un’esposizione che stavamo progettando con il corso di Arte Sacra.
Così cominciai ad andare alla ricerca di foto antiche nei cassetti dei miei parenti, non solo di mio papà, ma anzi, trovai delle foto eccezionali molto più passate, anche di fine ‘800.
Riuscii a ricostruire parzialmente un albero genealogico di entrambi i miei genitori.
Si tratta quindi persone che, per la maggior parte, ormai non ci sono più, e che quindi ritornano ad essere del tutto presenti alla memoria nei quadri in cui sono raffigurati.
Quando ho visto per la prima volta le tue opere sono rimasta stupita dalla malinconia di cui sono permeate, troppa considerando che sei giovane, poi ho scoperto che la tua vita è stata segnata da un evento molto doloroso, hai perso tuo padre molto presto, a quel punto mi è stato tutto più chiaro..
Esatto.. all’inizio degli studi universitari le mie opere non erano altro che dei semplici studi della tecnica, piuttosto che una ricerca di rappresentare delle situazioni interiori e intime in cui tutti si potevano riconoscere.
Quando ho scritto la prima tesi ho trattato il tema dell’autoritratto, sotto il punto di vista della fisiognomica, dell’espressività del volto; nella seconda tesi ho deciso di approfondire il medesimo tema, ma analizzandolo sotto il profilo psicologico.
Diviene così un autoritratto usato come metodo di autoterapia, una modalità di riparazione, andando a descrivere questa mancanza, mettendoci la mia persona in modo totale.
La mia membrana oculare diventa così lo strumento per rappresentare la propria interiorità, oggetto dell’ossessione, attraverso la fisicità del volto.
Da qui il titolo dell’opera e dell’omonima esposizione personale che finora più di tutte hanno segnato il mio percorso artistico: “Le tue membra, la mia membrana”.
Un desiderio che ti piacerebbe vedere realizzato?
Sicuramente mi piacerebbe in un domani che le persone riconoscessero me attraverso i miei lavori, senza ombra di dubbio.
Intervista di ART OPEN SPACE
per la mostra ACQUE SCURE - Rassegna d'Arte 2014
a cura di Cristina Polenta
Quando ho scritto la prima tesi ho trattato il tema dell’autoritratto, sotto il punto di vista della fisiognomica, dell’espressività del volto; nella seconda tesi ho deciso di approfondire il medesimo tema, ma analizzandolo sotto il profilo psicologico.
Diviene così un autoritratto usato come metodo di autoterapia, una modalità di riparazione, andando a descrivere questa mancanza, mettendoci la mia persona in modo totale.
La mia membrana oculare diventa così lo strumento per rappresentare la propria interiorità, oggetto dell’ossessione, attraverso la fisicità del volto.
Da qui il titolo dell’opera e dell’omonima esposizione personale che finora più di tutte hanno segnato il mio percorso artistico: “Le tue membra, la mia membrana”.
Un desiderio che ti piacerebbe vedere realizzato?
Sicuramente mi piacerebbe in un domani che le persone riconoscessero me attraverso i miei lavori, senza ombra di dubbio.
Intervista di ART OPEN SPACE
per la mostra ACQUE SCURE - Rassegna d'Arte 2014
a cura di Cristina Polenta